Il maestro Motobu, da tempo dimenticato dagli storici del karate, è ora al centro di un rinnovato interesse. Se è vero che il karate fu introdotto in Giappone nel corso del 1920 e i maestri più famosi giunti da Okinawa furono Gichin Funakoshi (Shotokan), Chojun Miyagi (Goju-ryu) e Kenwa Mabuni (Shito-ryu), in Giappone erano presenti anche altri maestri altrettanto famosi (almeno ad Okinawa) come Kanken Toyama, Moden Yabiku, Kanbum Uechi e il nostro Choki Motobu, fra tutti questi forse la personalità più interessante e stimolante. Diversamente da Funakoshi, Miyagi e Mabuni, Choki Motobu non lasciò dietro di sé una scuola e non organizzò mai i suoi metodi in un sistema formale: il suo era un allenamento continuo, senza il tempo di adottare regole o canoni. Choki Motobu nacque a Shuri, la vecchia capitale di Okinawa, nel 1871. Qui iniziò ad apprendere il karate sotto Anko Itosu, che veniva a casa sua soprattutto per istruire il fratello maggiore Choyu, il primogenito dei Motobu. Durante l’allenamento i due fratelli bisticciavano, e spesso Motobu perdeva la concentrazione. Non completamente soddisfatto dell’insegnamento impartitogli, Motobu iniziò a frequentare di nascosto i maestri Matsumura e Sakuma, continuando però sempre l’allenamento sotto Itosu. Alla fine Itosu e Motobu entrarono in confidenza, e Itosu raccontò a Motobu gli ultimi istanti di vita di uno dei sui maestri, Nagahama. Dapprima infatti Itosu aveva iniziato ad imparare con Matsumura, ma questi lo considerava una testa dura e pare che non gli insegnò molto. Itosu allora si recò da Nagahama, che era più grande di lui solo di un anno. L’allenamento con Nagahama di Naha era essenzialmente fisico, mirato a migliorare la resistenza del corpo e la forza dei colpi. Tuttavia, sul letto di morte, Nagahama confessò ad Itosu di non essere più molto convinto di quel tipo di allenamento e gli suggerì di tornare presso Matsumura e continuare a studiare con lui per migliorare qualità come la velocità, la flessibilità del corpo e la scioltezza dei movimenti.
In gioventù Motobu si era fatto la fama di attaccabrighe, ma fu solamente dopo il trasferimento ad Osaka nel 1921 che fu riconosciuto come maestro di arti marziali. Ciò che portò Motobu all’attenzione dei giapponesi fu la sua vittoria contro un pugile occidentale non meglio identificato.
Agli inizi del 1900 i combattimenti tra pugili occidentali e praticanti di ju-jitsu e judo (il karate era ancora ignoto) erano frequenti. Si trattava di combattimenti non ufficiali, un passatempo secondario. I risultati di tali incontri a volte sono stati registrati: nel 1928 il peso-gallo Packy O’Gatty mise KO un ju-jitsuka chiamato Shimakado in 14 secondi (compreso il conteggio). Anche E. J. Harrison, nel suo libro Lo spirito Guerriero del Giappone (1913, trad. it. LUNI), è a conoscenza di incontri tra pugili e judoka. Non si trattava di incontri tra professionisti, ma ciò bastava a risvegliare l’interesse della popolazione. Questo è lo sfondo sociale in cui si colloca anche l’episodio che rese famoso Motobu, e inorgoglì gli okinawensi.
Dopo che Motobu si stabilì in Giappone, andò come spettatore ad un incontro tra pugili e judoka. Un pugile in particolare mise KO molti avversari, e alla fine sfidò pubblicamente chiunque avesse avuto il coraggio di battersi con lui. Choki Motobu che era seduto tra il pubblico si diresse verso il ring, accettò la sfida e vinse. Sull’andamento dell’incontro è impossibile qualunque ipotesi. Motobu avrebbe vinto grazie ad un singolo colpo risolutore, come vorrebbe il reportage dell’incontro, pubblicato sulla rivista King (Settembre 1925, n. 9, pp. 195-204: King era una delle riviste più importanti del Giappone, con un tiraggio di oltre un milione di copie), o dopo diversi scambi di colpi. Gli studiosi che si sono occupati di rintracciare qualche episodio di verosimiglianza in quest’incontro, disperano di poter venire a capo di quella che sembra l’unica evidenza: Motobu, a 57 anni, fu il vincitore. Tuttavia, nonostante il pezzo in questione sia poco più di un resoconto immaginario che una cronaca dell’incontro, la pubblicità per Motobu e per l’ancora oscuro karate fu immensa. Secondo King, insomma, Motobu mandò giù il pugile con un colpo a mano aperta; per Seiyu Oyata, invece, moderno esperto di karate di Okinawa, Motobu vinse la lotta calciando il pugile prima al plesso solare e finendolo con un colpo al collo. Shoshin Nagamine (Matsubayashi Shorinryu), che annovera Motobu fra i suoi maestri, racconta il knockout avvenne alla terza ripresa, e il colpo risolutivo fu un attacco alle tempie. Motobu colpì così forte che il pugile perse sangue dalle orecchie. A Nagamine Motobu disse di aver vinto cento yen puntando su se stesso.
Senza dubbio, Motobu fu un combattente straordinario. Hironori Otsuka, il fondatore del Wado-ryu, conobbe Motobu negli anni trenta e lo ricordava come “un combattente davvero molto forte”. Otsuka ricorda anche di aver assistito ad un allenamento tra Motobu e il pugile chiamato “Piston” Horiguchi. Motobu anticipava tutti gli attacchi di Horiguchi, che non riuscì mai a colpirlo e alla fine si arrese. Nel 1932, quando aveva 60 anni, un gruppo di immigrati okinawensi alle Hawaii lo chiamarono per combattere contro alcuni judoka e pugili che continuavano ad infastidire la loro comunità: nessuno incontro ebbe luogo, perché la sua brutta fama aveva preceduto Motobu e non gli fu permesso di soggiornare. Motobu nacque in una famiglia di alto rango, ma l’istruzione (culturale e marziale) fu riservata, come di norma al primo figlio nato (Choyu Motobu, gran maestro di ti okinawense). Nonostante questo, la voglia di diventare il più forte, lo spinse ad osservare gli allenamenti del fratello e partecipare almeno da piccolo alle lezioni che Itosu veniva ad impartire quasi quotidianamente a casa sua (7-8 anni durò l’allenamento con Itosu: un tempo ragguardevole per quei tempi). Si allenava da solo sollevando pesi e costruendosi makiwara che colpiva un numero impressionante di volte. Oltre ad essere molto forte, era anche molto agile, qualità che gli valse il soprannome di saru “scimmia”.
Senza dubbio, Motobu fu un combattente straordinario. Hironori Otsuka, il fondatore del Wado-ryu, conobbe Motobu negli anni trenta e lo ricordava come “un combattente davvero molto forte”. Otsuka ricorda anche di aver assistito ad un allenamento tra Motobu e il pugile chiamato “Piston” Horiguchi. Motobu anticipava tutti gli attacchi di Horiguchi, che non riuscì mai a colpirlo e alla fine si arrese. Nel 1932, quando aveva 60 anni, un gruppo di immigrati okinawensi alle Hawaii lo chiamarono per combattere contro alcuni judoka e pugili che continuavano ad infastidire la loro comunità: nessuno incontro ebbe luogo, perché la sua brutta fama aveva preceduto Motobu e non gli fu permesso di soggiornare. Motobu nacque in una famiglia di alto rango, ma l’istruzione (culturale e marziale) fu riservata, come di norma al primo figlio nato (Choyu Motobu, gran maestro di ti okinawense). Nonostante questo, la voglia di diventare il più forte, lo spinse ad osservare gli allenamenti del fratello e partecipare almeno da piccolo alle lezioni che Itosu veniva ad impartire quasi quotidianamente a casa sua (7-8 anni durò l’allenamento con Itosu: un tempo ragguardevole per quei tempi). Si allenava da solo sollevando pesi e costruendosi makiwara che colpiva un numero impressionante di volte. Oltre ad essere molto forte, era anche molto agile, qualità che gli valse il soprannome di saru “scimmia”.
Per Motobu, un buon allenamento era quello di recarsi a Naha e cercare di scatenare qualche rissa. La pratica della lotta era per lui l’allenamento migliore. Per questo suo carattere, non gli fu facile accedere all’addestramento presso i maestri più rinomati, i quali tenevano al buon nome della loro arte. Comunque iniziò con Itosu, per poi allenarsi con il gran maestro del Tomari-te Kosaku Matsumora (1829-1898) e poi con Sakuma sensei. Si sa di un combattimento (forse di tegumi) con Kentsu Yabu, che Motobu considerava un po’ il suo maestro. Fu una delle rarissime volte che Motobu dovette imparare la lezione. Di stazza doveva essere poco più grande di alcuni degli altri primi pionieri del karate giapponese come Funakoshi, Mabuni e Konishi, anche se di una forma molto più pesante. Le fotografie che noi abbiamo lo mostrano già avanti negli anni, e un poco ingrassato, anche lo sviluppo della sua muscolatura non sembra impressionante. Se questa sua propensione al combattimento reale sembra in contrasto con la normale filosofia dei maestri di cui siamo abituati a conoscere la filosofia, per altri aspetti Motobu sembra essere un tradizionalista puro. Si era infatti specializzato in un numero ristrettissimo di kata, dai quali però aveva tratto tutto quanto riteneva utile. Fra tutti, prediligeva il kata Naihanchi (Tekki-shodan nella versione di Shotokan) e praticava anche Passai e Gojushiho (non stupisce, dal momento che era il kata preferito di Kentsu Yabu); conosceva anche gli altri kata, che nomina nei suoi scritti pervenuti. Il suo Naihanchi, dalle foto che abbiamo, è ottimo, migliore di quello di Funakoshi. Questo kata era studiato ed insegnato in ogni minimo dettaglio. Ad esempio il namigaeshi (l’onda che ritorna) era interpretato come un movimento per attaccare la gamba dell’avversario (ora è insegnato come una parata contro un attacco di gamba) e di conseguenza molti karateka poggiavano a terra la gamba con forza. Anche Motobu eseguiva la tecnica come un attacco eseguendo il kiai, ma la poggiava a terra velocemente senza sbattere, perché era convinto che sbattendo la gamba si perdesse l’equilibrio e la difesa ne potesse risentire. Si è molto discusso se Motobu fosse a conoscenza dei kata Pinan. Un aneddoto riportato da Genwa Nakasone nel giornale Karate no Kenkyu del 1934, rivela delle sorprese: “Mi interessai alle arti marziali fin da bambino, e studiai con molti insegnanti: con Itosu sensei per 7-8 anni. Dapprima lui visse in Urasoe, poi si trasferì a Nakashima Oshima a Naha poi su a Shikina, e finalmente alla villa del Barone Ie. Passò lì i suoi ultimi anni, vicino la scuola media. Un giorno lo andai a trovare, ci sedemmo parlando di arti marziali e di altri argomenti. Mentre ero là, si aggiunsero anche 2 o 3 studenti a parlare con noi. Itosu sensei si rivolse a loro e chiese di mostrargli un kata. Il kata che fecero era molto simile al Channan che avevo imparato anche io, ma con alcune differenze. Chiesi allora agli studenti di che kata si trattasse, e questi risposero che si trattava del kata Pinan. Gli studenti andarono via poco dopo, e io mi rivolsi ad Itosu sensei e gli dissi “ho imparato un kata chiamato Channan, ma il kata che quegli studenti hanno eseguito era diverso. Come mai?” Itosu sensei rispose “ Sì, il kata è lievemente diverso, ma è questo che poi ho deciso di insegnare. Gli studenti mi hanno detto che il nome Pinan è migliore, e ho seguito il parere dei giovani”. Ciò dimostra, in maniera indiretta, che Itosu rivisitò sempre i kata che aveva creato per la scuola, fino alla fine dei suoi giorni. In questo studio minuzioso del kata, Motobu è ancora un erede dell’antica tradizione okinawense. Pare che in tarda età volesse tornare ad Okinawa per perfezionare i suoi kata con il maestro Kentsu Yabu, ma non ebbe l’occasione di realizzare questo desiderio. Alcuni dei suoi esercizi a coppia sono stati pubblicati in Ryukyu Kempo Karatejutsu, pubblicazione del 1926. Ora, va notato che Motobu non parlava correttamente giapponese, cosa che probabilmente lo limitò molto a differenza degli altri karateka okinawensi in Giappone. Il librò fu dunque probabilmente dettato. Il suo, come già detto, era un karate mirato all’efficacia, con gomitate e ginocchiate ai punti deboli, ed un uso peculiare del keikoken (pugno con una nocca sporgente), tecnica che Motobu allenava in maniera particolare.
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